Doctor Foster è una serie tv britannica ideata da Mike Bartlett e prodotta dalla BBC, andata in onda per la prima volta nel 2015 per poi essere distribuita in Italia nel 2016 con la prima delle due stagioni. Nel cast, i protagonisti che compongono la famiglia al centro delle vicende sono interpretati da Suranne Jones, Bertie Carvel e Tom Taylor.
Non ne racconterò la trama per una ragione “cinematografica” – ho una forte avversione agli spoiler per cui mi limiterò ad accennarne lo strettissimo necessario! – ma soprattutto perché, anche volendo, nell’apparente banalità delle vicende non riuscirebbe a trasmettere l’intensità emotiva degli eventi che travolgono questa famiglia della middle class britannica, lungo l’odissea della separazione dei due coniugi a seguito di un tradimento e della loro battaglia senza esclusione di colpi tra spinte vendicative e strategie per il “possesso” esclusivo del loro figlio.
Piuttosto, vorrei “sfruttare” questo prodotto cinematografico per condividere un’analisi sul rapporto tra comportamenti genitoriali e benessere dei figli in adolescenza. Ancora scosso dagli eventi che concludono la seconda stagione della serie (vi invito ad andare a scoprirli!), tra le tante chiavi di lettura che la serie fornisce – la riflessione sul significato dell’amicizia nell’età adulta, le dinamiche psicologiche che si possono scatenare in una coppia sentimentale in crisi, la natura delle reti sociali nella società contemporanea – ce n’è una che si impone sempre più procedendo verso la conclusione della seri e che ha il sapore di una netta denuncia sociale: il costo pesantissimo e ingiusto che pagano i figli per i conflitti che attraversano le coppie genitoriali in crisi o durante una separazione.
Nelle righe che seguono cercherò di fare un focus su alcune dinamiche raccontate nella serie che illustrano le implicazioni che una genitorialità disfunzionale può avere sullo sviluppo psicologico di un figlio adolescente.
Allearsi con un genitore, contro l’altro
Dopo che Gemma – all’inizio della prima serie – scopre il tradimento di Simon, prende il via una battaglia dove la posta in gioco diventa sempre più chiaramente il “possesso” di Tom e lo scopo di privare l’altro della vicinanza con lui. Il ragazzo sarà più volte strappato dall’uno all’altro genitore, o vi si rifugerà dopo ogni ennesimo tradimento della sua fiducia, in una ricerca disperata di una stabilità affettiva monogenitoriale che però sembra non trovare mai una soluzione durevole.
Soprattutto nella seconda stagione della serie la famiglia Foster, ormai disgregata, si avvita intorno alla dinamica disfunzionale nota come “sindrome da alienazione parentale” (in inglese Parental Alienation Syndrome, PAS). Questa patologia del sistema familiare, analizzata per la prima volta dallo Psichiatria Richard Gardner, tipica di famiglie che attraversano una separazione, consiste nel rifiuto psicologico del figlio verso un genitore (il genitore alienato) a causa dell’influenza dell’altro (il genitore alienante) che prende la forma di accuse, attribuzione ingiusta o eccessiva di colpe, astio e rabbia.
Possiamo così vedere un ragazzo che “impara” a disprezzare un genitore con ragioni più o meno fondate, polarizza i sentimenti tra un genitore del tutto positivo e l’altro del tutto negativo, appoggia quello alienante in modo indiscriminato e non mostra senso di colpa per l’ostilità espressa verso l’altro.
In questo gioco pericoloso, l’alienazione è spesso un atto di vendetta per i torti subiti dall’ex coniuge, dove l’arma utilizzata è il figlio, senza pensare che esso può compromettere in modo permanente un legame primario di attaccamento, ostacolare lo sviluppo di competenze emotive nella crescita ed essere un fattore di rischio per lo sviluppo di psicopatologia in età adulta.
Coppia e genitorialità: due livelli distinti
Nel corso delle puntate assistiamo a una crisi coniugale e familiare che si consuma velocemente, ma che lascia subito il posto a una dinamica di scontro tra Gemma e Simon messa in moto inizialmente dalle spinte vendicative di Gemma. La rottura della coppia porta con sé, in un processo lento ma inevitabile, la crisi delle funzioni genitoriali che fa sprofondare il figlio Tom in un’odissea costellata di instabilità, violenza aperta, bugie e continui tradimenti di fiducia. E man mano che lo scontro si fa più violento, la famiglia si ritrova sempre più isolata.
Soprattutto se la famiglia attraversa una crisi o arriva a una separazione definitiva, è necessario che i genitori riescano a tenere separati due livelli, ciascuno dei quali implica ruoli e funzioni specifici.
C’è il livello della coppia, che ha un suo arco di sviluppo e può andare incontro a un termine per effetto delle responsabilità e delle scelte di ciascun membro.
E c’è un livello genitoriale, che definisce le due figure adulte in base a un ruolo che in ogni caso non finisce ma deve proseguire per tutto l’arco evolutivo del figlio fino al raggiungimento della sua autonomia. La responsabilità educativa dei figli resta ai genitori, a prescindere dall’esito della coppia. Purtroppo sappiamo che spesso questo non accade. È importante allora che la coppia genitoriale non si chiuda nell’isolamento ma possa affidarsi a delle reti di sostegno: quella personale (amici, familiari), istituzionale (la scuola, i servizi sociali) e professionale (psicologi, psichiatri, pedagogisti).
I bisogni emotivi primari di un figlio
Il piccolo Tom è suo malgrado vittima e testimone di un ambiente familiare che, nel giro di poche settimane, passa dall’essere un luogo sicuro a un ambiente fortemente disfunzionale. A colazione sente la tensione che scorre nei silenzi tra le parole di Gemma e Simon. Alle sue domande di bambino confuso su quello che accade in famiglia e che non comprende, riceve la risposta “va tutto bene”. In seguito, di fronte a casa si trova sulla linea di tiro di due genitori che si urlano accuse e minacce, conteso come una preda, entrambi fonte di amore ma anche terrorizzanti. La casa che è stata il luogo dell’amore si trasforma nel palcoscenico per scene di violenza.
Ogni bambino, fin dai primi anni di vita, esprime dei bisogni primari innati nei confronti delle sue figure di attaccamento, in genere i suoi genitori. Alcuni tra i più basilari sono i bisogni di protezione, stabilità, prevedibilità, accudimento, empatia, attenzione, affidabilità. La capacità dei genitori di creare le condizioni in cui questi bisogni siano sufficientemente soddisfatti permette al bambino di costruire dei modelli relazionali interni adeguati che potrà riprodurre in futuro nelle relazioni amicali e sentimentali che andrà costruendo fuori della famiglia. Ovvero, diventando più probabilmente adulti che sentano di avere relazioni stabili, che sappiano fidarsi e affidarsi all’altro, ricevere e dare nutrimento affettivo, e con un’immagine di sé come degni di valore e meritevoli di ricevere amore.
Dalla carenze negli anni dell’infanzia ai temi di vita
Se, al contrario, questi bisogni sono ripetutamente frustrati nell’infanzia – ad esempio per carenze affettive rilevanti e/o esperienze di traumatizzazione – sarà probabile che svilupperanno schemi personali e modelli relazionali improntati alle carenze subite nell’infanzia, in grado di riattivarsi nelle situazioni della vita successiva e che fungeranno da vere e proprie trappole per le proprie scelte di vita e relazionali.
Si può sviluppare uno schema di abbandono, la convinzione che ogni legame sia destinato a finire venendo lasciati dal proprio partner; uno schema di sfiducia generalizzata verso le persone o la convinzione che gli altri ci vogliano ferire, manipolare o abusare di noi; uno schema di non amabilità, ovvero il sentimento di non meritare l’amore degli altri e di essere condannati a non veder soddisfatti i propri bisogni affettivi; uno schema di inadeguatezza, ovvero la convinzione profonda di essere sbagliati, difettosi, privi di valore, non all’altezza.
Ogni schema porta con sé stati d’animo, reazioni fisiologiche, memorie del passato, credenze e interpretazioni su di noi, gli altri e il mondo. Ma soprattutto, la sofferenza emotiva dovuta al riattivarsi di uno di questi temi di vita porta le persone a reagire con comportamenti con lo scopo di alleviare la sofferenza stessa, ma che nella maggior parte dei casi di mantiene ancorati a quello schema personale. Un esempio tra tanti è l’evitamento delle relazioni intime di chi sente di non valere o di non poter essere amato: una scelta che a breve termine sembra proteggersi dai rifiuti temuti, ma anche un tirarsi fuori dalle relazioni che ci condanna a non poter ricevere amore e confermerà la credenza di non poter ricevere affetto.